di FABIO DE MIN dei Non Voglio che Clara
Un paio di settimane fa ho appreso dai social che con Non voglio che Clara siamo in nomination per un premio come miglior disco italiano del 2020 per Rock Targato Italia. Non me ne vogliano gli amici di RTI, ai quali sono sinceramente riconoscente per la nomina, ma io che pure metto in fila tutto, dai film di Tarantino (Jackie Brown al #1, poi Pulp Fiction, Le Iene e giù fino a The Hateful Eight) ai dischi dei Black Sabbath (Sabbath bloody Sabbath in cima, tutti gli altri con Ozzy a seguire) sono di natura refrattario alla competizione, a PES scelgo le squadre da una stellina, alle campestri tagliavo per i campi e ignoravo la (r)esistenza di Rock Targato Italia. Fino a due settimane fa, quando la notizia della nomina ha fatto scattare un flash.
Ho rovvistato un po’ per la libreria e in mezzo a Norwegian Wood di Murakami ho trovato l’oggetto della mia ricerca, una cartolina un poco stropicciata che avevo usato come segnalibro.
Sonny Boy on stage presenta Rock Targato Italia – selezione per il Triveneto. Domenica 1 ottobre Spleen, Dominio Pubblico, Please, Export, Anidride. Domenica 8 ottobre Aut TV, Northpole, Mario Luzzaro, Valentina Dorme, Jalum.
Non c’è scritto l’anno, ma io dico millenovecentonovantatre. Il flyer ci era giunto per posta direttamente dall’organizzazione e l’avevamo studiato a fondo per settimane come si studiano gli avversari prima di una partita. «I Valentina Dorme li conosco, son fighi», «Northpole? che nome del cazzo». Ho diciannove anni, mio padre mi ha appena regalato una Seat Ibiza rosso bordeaux usata che è un bolide. Percorro a rotta di collo la A27 carico di strumenti, direzione Sonny Boy.
«È vero che qui hanno suonato i Doors con Ian Atsbury?» Non lo so. Quello che so è che grattugio una Telecaster dentro un Big Muff versione Sovtek dentro un Marshall JCM800 preso in prestito dal nostro ex cantante.
Le canzoni che ho scritto sono acerbe, i suoni fanno schifo, ma suoniamo con una buona energia e così passiamo il turno e pure quello successivo. La mia Telecaster suona sempre le stesse acerbe canzoni, ma sempre con più convinzione, fino alle finali venete. Poi, una settimana dopo l’ultima esibizione, mi chiama il direttore del locale. «Siete fuori» «Che vuoi dire?» «Che son passati gli altri» «Maddai, non hai sentito la reazione del pubblico alle nostre canzoni?!» «Vi siete portati la claque…». La notizia peggiore arriva però di lì a qualche giorno, quando mio padre sale sulla mia Ibiza. La macchina va troppo forte, dice. La rivende. Al suo posto arriva una Seat Fura, versione spagnola della Fiat 127.
Grazie papà, la possiamo almeno reimmatricolare? È targata Lecce, mi guarderanno male.
Come sospettavo guidare una 127 che proviene dal profondo sud, lungo le strade del Veneto della Lega Nord per l’Indipendenza della Padania, si rivela fin da subito un incubo. Mi fermano ad ogni posto di blocco e se incrocio la volante sul senso opposto di marcia, stanne certo, me la ritrovo dietro poco dopo col lampeggiante acceso. Spesso sono costretto a parcheggiare distante dalle case perché se notano la targa non rispondono nemmeno al campanello, oppure negano che la figlia sia in casa. E io che ero passato solo per restituire un libro.