di Vittorio Comand di Rockit
Ogni tanto mi fermo e penso: “Ancora faccio fatica a credere di essere finito qui”. L’ultima volta mi è successo durante le riprese del film del concerto di Andrea Laszlo De Simone: è senza dubbio l’evento più speciale che ho seguito per Rockit, la rivista per cui scrivo dal novembre del 2019 e che, anche in un periodo così drammatico per il nostro settore, mi ha regalato delle soddisfazioni che mai avrei pensato di vivere.
Quando Novak mi ha chiesto di scrivere un articolo per Sottoterra e di raccontare la mia storia, la prima cosa che ho pensato è che il punto di partenza poteva essere solo uno: Padova. È una città in cui ho passato quattro anni e mezzo bellissimi e travagliati, in cui mi sono incagliato in due corsi di laurea – prima un anno a statistica, poi il passaggio a economia – scelti con la convinzione di dover far fruttare la mia passione per la matematica studiando qualcosa di “utile”. Una sorta di paracadute nel caso non avessi trovato il modo di far fruttare il mio vero interesse: la musica. Una scelta che poi si è rivelata accademicamente fallimentare, in primis perché sono un coglione, ma anche le circostanze di vita padovane non hanno aiutato. Magari un’altra volta vi parlerò di quanto e come è stata assurda la mia permanenza a Padova, della padella cavatappi, di come si sopravvive d’inverno senza riscaldamento, di come ho rischiato di essere coinquilino di Novak stesso – chissà cosa sarebbe successo – e di come l’abbiamo reciprocamente scoperto a distanza di anni, ma non è questo il momento.
La faccio brevissima: dopo la sudata triennale in economia mi convinco, grazie all’insistenza di un amico che non finirò mai di ringraziare, ad andare a Milano per una magistrale, così da trovarmi nella città ideale per seguire l’enigmistica – anche questa è una storia che poco c’entra, magari ve la racconto davanti a una birra quando si potrà e sempre che vi interessi – o la musica. È così che trovo un corso di comunicazione, scelto paraculamente come per la triennale e aggravato dalla cialtroneria dilagante che ho riscontrato in alcuni – non tanti in realtà, ma è comunque una minoranza considerevole – compagni di corso. Il mito montemagnano da guru del business mi fa vomitare, ma ho deciso io di infilarmi in questa situazione, quindi so a cosa vado incontro.
Una volta stabilitomi a Milano, mando una mail senza pretese a Rockit. Spiego chi sono, racconto di aver già scritto un po’ di musica negli ultimi anni e di condurre un programma su una web radio friulana. E questo è bastato. Non potevo sapere che fosse il momento migliore per bussare alla loro porta. Siamo a novembre 2019, c’è una redazione da ricostruire e c’è bisogno di collaboratori, tanto più se possono essere presenti fisicamente. Io un minimo di esperienza ce l’ho, anche se non l’ho mai fatto come lavoro vero e proprio, e vengo rapidamente coinvolto come jolly: se c’è bisogno di risolvere qualche sbatta e sono disponibile, ci sono io a scaricare un po’ di lavoro.
Così, con una mail scemissima, mi sono trovato dentro. Nel giro di qualche mese sono diventato redattore fisso. Forse potreste pensare che sia stata più complessa di come ve l’ho riassunta qua, ma è la verità. Ho avuto solo una gran botta di culo di essere stata la persona giusta ad aver suonato il campanello giusto nel momento giusto. Anche se tutto questo accadeva nell’anno peggiore possibile per occuparsi di musica.
Lo ammetto, mi rode un po’ il fegato per come poteva essere il 2020. L’idea di non aver vissuto l’Ohibò, lo Spazio Ligera, il Serraglio e tutti quei posti che animavano lo scenario musicale milanese e non solo la soffro abbastanza. Poi penso a chi quei luoghi li aveva resi quello che erano, a chi è fermo da più di un anno, a chi ha dovuto rinunciare alla musica per tirare avanti, e allora mi rendo conto di essere l’ultima persona che può lamentarsi. Nonostante tutto, il 2020 è stato un anno che mi ha regalato un sogno, ed è una cosa che cerco di non dimenticare a fronte di tutto l’oceano di merda in cui ci siamo trovati a navigare.
Assieme all’attività con Rockit, durante l’estate ho dato una mano a organizzare i concerti a Cas’Aupa, un circolo di Udine – la città da cui provengo – che ogni anno cerca di portare nel suo giardino un po’ di colore, per ravvivare il grigiore dell’estate friulana. È stato difficilissimo, con tutte le norme anti contagio da far rispettare, ma è stato davvero bello riuscire a mettere in piedi dei concerti quando sembrava impossibile tornare a sentire musica dal vivo. Ci ha pensato una tromba d’aria l’ultimo giorno di agosto, che ci ha spaccato il palco e il chiosco, a ricordarci che le sfighe non vengono mai da sole, ma siamo riusciti a superare anche quella grazie all’affetto di tantissima gente che ha voluto darci una mano con un crowdfunding messo in piedi in meno di 24 ore dalla catastrofe.
Dopo circa un anno e mezzo dal mio ingresso a Rockit, trovo sempre più stimoli dalla direzione che sta prendendo quello che facciamo, con tanto di canale Twitch lanciato da qualche mese. Io poi, che ho sempre detestato il mondo di streamer e youtuber. Mi sembra di aver trovato il mio posto nel mondo, dopo aver speso anni a chiedermi cosa avrei fatto da grande. In realtà, ancora me lo chiedo: non so se potrò occuparmi di questo per tutta la vita, se dovrò prima o poi scontrarmi con la realtà e dover abbandonare tutto questo per un lavoro che mi dia maggiori sicurezze economiche e la tanto agognata stabilità, ma la verità è che al momento amo raccontare la realtà musicale che mi trovo ad ascoltare e, in certi casi, a vivere. Come può essere stato il film del concerto di Andrea Laszlo De Simone, due giorni che non dimenticherò mai, ma anche il passare un intero pomeriggio in una Venezia deserta per conoscere quelle due meravigliose creature del disagio che sono i Laguna Bollente. Sono salito su una giostra senza rendermene conto, ora spero di non doverci scendere mai.